In quest’ultimo 1 maggio c’è stato ben poco da festeggiare per i lavoratori italiani, dato che la pandemia ha già lasciato in eredità 945mila occupati in meno. Per recuperarne almeno una parte il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) lascia assai poco spazio alle soluzioni basate sulla natura, eppure in tutto il mondo «i sistemi naturali ricoprono un ruolo centrale anche nel sostenere l’occupazione: circa 1,2 miliardi di posti di lavoro in settori come l’agricoltura, la pesca, la silvicoltura e il turismo dipendono direttamente dalla gestione efficace e dalla resilienza di ecosistemi sani», spiegano dal Wwf.
I sistemi naturali (costituiti dalla biodiversità presente sul Pianeta) e i servizi che essi offrono gratuitamente e quotidianamente, anche detti servizi ecosistemici, costituiscono infatti la base essenziale dei processi economici, dello sviluppo e del benessere delle società umane.
Ad esempio si stima che la Rete Natura 2000 sostenga «104.000 posti di lavoro nelle attività di gestione e conservazione delle aree protette e altri 70.000 posti di lavoro in attività connesse in maniera indiretta. Alla base di questo c’è un investimento annuale e costante di circa 6 miliardi di euro per la gestione e il ripristino della rete Natura 2000. In futuro – argomentano dal Wwf – si prevede che il fabbisogno di biodiversità possa generare fino a 500.000 posti di lavoro. Basti considerare il settore agricolo: 1,3 milioni dei 9,6 milioni di posti di lavoro in Ue in questo ambito sono collegati direttamente o indirettamente ai siti Natura 2000. Anche il settore del turismo ha un ruolo cruciale, offre lavoro a 12 milioni di persone in Europa, di cui 3,1 milioni sono collegati alle aree della rete Natura 2000. Gli investimenti in rinaturazione sono definiti anche investimenti moltiplicatori. È stato stimato infatti che investire circa 2,7 trilioni di dollari ogni anno entro il 2030 in soluzioni basate sulla natura genera vantaggi economici pari a 10 trilioni di dollari e 395 milioni di nuovi posti di lavori (World Economic Forum 2020)».
In Italia, però, il capitale naturale a disposizione sul territorio si sta rapidamente depauperando. Secondo il terzo rapporto sul capitale naturale realizzato dal Governo, il valore economico legato ai servizi ecosistemici supera i 58 miliardi di euro l’anno considerando solo le risorse idriche, la prevenzione dalle alluvioni, l’impollinazione agricola e le attività ricreative. Il quarto e (per ora) ultimo rapporto mette però in evidenza come questo capitale sia sempre più a rischio: investiamo ogni anno 12,5 miliardi di euro in sussidi pubblici favorevoli alla biodiversità, ma quelli dannosi sono più del doppio: 28,8 miliardi di euro. Come risultato, su 85 tipi di ecosistemi italiani analizzati dal Comitato capitale naturale, quelli «a elevato rischio» certificati dalla Lista rossa Iucn sono ben 29 pari a circa il 20% del territorio nazionale.
«Proteggere, ripristinare, gestire in modo sostenibile gli ecosistemi e allo stesso tempo far crescere la nostra economia non è più un’utopia. La risposta – conclude Marco Galaverni, direttore scientifico del Wef Italia – è nelle soluzioni basate sulla natura, ovvero gli interventi finalizzati a tutelare, gestire in modo sostenibile e restaurare gli ecosistemi. Le soluzioni basate sulla natura forniscono risposte alle sfide chiave della società, producono benessere per le comunità e benefici per la biodiversità».
Qualche esempio? Il Wwf ha calcolato che il ritorno economico derivante dalla sola ricostruzione degli ecosistemi marini (grazie all’estensione delle aree marine protette dal 20 al 30% e ad interventi sostanziali di ripristino) potrà portare, sempre al 2050, ad un ricavo di 10 dollari per ogni dollaro speso, oltre che ad un incremento di 1 milione di posti di lavoro tra gli operatori del mare.