Venerdì, 29 marzo 2024 - ore 03.35

L’errore di Landini. RAR

Nel progetto della Democrazia ogni uomo è chiamato al suo sviluppo, e, coerentemente, lo sviluppo umano di ciascun uomo costituisce e deve costituire il progresso

| Scritto da Redazione
L’errore di Landini.  RAR

Sembrerebbe una ventata di novità nello stagnante mondo della politica quella assunta da Landini e il suo sindacato FIOMM, invece si tratta di una “restaurazione” dopo gli anni durante i quali il sindacalismo aveva assunto il ruolo di contrasto, svolgendo un ruolo di contrapposizione al potere dello Stato e della classe imprenditoriale, acuendo la lotta di classe.

Ma allora l’Italia stava appena uscendo da un regime dittatoriale che aveva basato sulla  media e alta borghesia il suo punto di forza, considerando la classe operaia al servizio degli interessi di pochi privati che detenevano i mezzi di produzione e che, quindi, decidevano  sul lavoro e sul compenso che spettava al lavoratore. In quell’immediato dopo-guerra la presenza del sindacato pronto e disponibile alla lotta di classe pur di sostenere il diritto dei lavoratori, ebbe la sua ragion d’essere.

Durante il ventennio fascista il liberalismo che aveva dominato la scena politica, aveva perduto le sue connotazioni egualitarie per appoggiare e appoggiarsi al regime fascista e all’autoritarismo che permetteva una politica a senso unico. La fine del fascismo non rappresentò immediatamente anche la fine delle disuguaglianze, anche se l’uguaglianza di tutti i cittadini venne sancita nella stessa Costituzione.

Occorreva tempo, e il tempo fece la sua parte.

Di fronte alle resistenza degli imprenditori e di larga parte dei poteri dello Stato, la strada seguita dai sindacati portò a taluni risultati a favore delle classi più deboli; ma non bastava. I sindacati premevano per modificazioni del tessuto sociale, anche a costo di interrompere le concertazioni tra le parti, sostituite dalle trattative contrapposte che sempre più spesso si concludevano con scioperi, che era rimasto l’unico mezzo per ottenere il riconoscimento dei diritti spettanti alla classe dei lavoratori.

Il liberalismo crociano comprese bene la lezione e, sotto la spinta di politici illuminati, promosse uno sviluppo economico e sociale che venne identificato come “miracolo economico”, ma non riuscì ad evitare  periodici episodi di  scontro tra capitale e lavoro, che divenne spesso uno scontro politico.

Landini ripercorre l’itinerario che segnò l’attività dei sindacati dell’immediato dopo-guerra, riportando e riproponendo lo scontro di classe, evitando il dibattito interclassista, foriero di una nuova rinascita nazionale.

Fu il ventennio berlusconiano a riportare l’Italia nelle condizioni dell’immediato dopo-guerra, con una sparuta minoranza che possedeva una larghissima fetta della ricchezza nazionale; solo che in quella prima esperienza ci furono politici ed economisti illuminati che reagirono alle difficoltà sollecitando una collaborazione, pur se irta di difficoltà, perché i sindacati non offrirono la loro collaborazione, ma insistevano nella richiesta di diritti  per i quali i tempi, anche economici, non erano maturi.

Il ventennio berlusconiano ha strafovorito quella minoranza di possidenti, omaggiandoli di sanatorie, condoni e scudi fiscali, favorendo e stimolando una finanza speculatrice che non necessitava di generare lavoro per ottenere guadagni, ma dedicandosi a speculazioni finanziarie garantite dallo stesso governo.

Quello che Landini non ha capito è che sono maturi i tempi per un “nuovo ruolo” dei sindacati.

Oggi i sindacati sono più impegnati ad amministrare se stessi che a cercare  di migliorare dall’interno  le condizioni operative, che non possono che essere impostate su una rinnovata interazione  all’ìnterno delle aziende, con la partecipazione concreta di tutti gli interessati  alla gestione aziendale, ai problemi di sicurezza sul posto di lavoro, nonché alla gestione generale dell’azienda medesima.

Il nuovo ruolo del sindacalismo del 3° millennio dovrà essere quello del notaio che regolamenta, in equità,    i rapporti di collaborazione tra la proprietà dei mezzi di produzione e il mondo del lavoro, sia manuale che impiegatizio, eliminando le sacche di sfruttamento per riconoscere a tutti il giusto compenso per il lavoro realizzato.

Fin quando la classe operaia non prenderà coscienza di essere esclusiva proprietaria di se stessa e di possedere il proprio patrimonio nella potenzialità del lavoro, non potrà esserci sviluppo concreto nè potrà esserci progettazione futura; ma questa presa di coscienza si scontra frontalmente con l’attuale sindacalismo che non vuole cedere il proprio ruolo di “proprietaria” delle masse di lavoratori, da amministrare anche nelle cenette intime con i massimi esponenti della controparte !

Il capitale-denaro e il capitale-lavoro hanno un destino comune, serve solamente  equilibrare adeguatamente il rapporto, con conseguente reciprocità di dignità.

L'uomo-capitalista e l'uomo-lavoratore hanno il  comune denominatore  “uomo” che li assimila, che però vengono tenuti separati da interessi corporativi che nulla hanno a che vedere con le reali esigenze delle parti.

La finanza creativa inventata dai governi liberisti di stampo berlusconiano, unitamente alla programmazione liberista, fatta per dividere e mai per unire, hanno fornito tutti i mezzi possibili alla finanza improduttiva, mortificando il lavoro con la precarietà.

Ha generato una ignobile "asta pubblica" del lavoro, ma al ribasso, per sfruttare ulteriormente lo stato di necessità, che impone e obbliga di accettare le condizioni più vessatorie, pur di poter lavorare.

La collaborazione tra le classi non deve restare nel limbo delle intenzioni  o delle ipotesi astratte, ma deve diventare la meta da perseguire: l'umanesimo del lavoro.

Landini è lontano da una simile impostazione, legato come si ritrova al concetto marxista del capitale, visto come un nemico da abbattere e non come mezzo di sviluppo, alleato con il capitale-lavoro.

La Democrazia   trova  nella società civile e democratica la fonte della sua convinzione che il lavoro costituisce una fondamentale dimensione dell'esistenza umana. Nel nostro tempo diventa sempre più rilevante il ruolo del lavoro umano, come fattore produttivo delle ricchezze immateriali e materiali; diventa, inoltre, evidente come il lavoro di un uomo si intrecci naturalmente con quello di altri uomini. Oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno. Il lavoro è tanto più fecondo e produttivo, quanto più l'uomo è capace di conoscere le potenzialità produttive della terra e di leggere in profondità i bisogni dell'altro uomo, per il quale il lavoro è fatto.

Nel progetto della Democrazia    ogni uomo è chiamato al suo sviluppo, e, coerentemente, lo sviluppo umano di ciascun uomo costituisce e deve costituire il progresso, che resta così vincolato allo sviluppo.

Rosario Amico Roxas

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