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Un termometro spiega l’evoluzione del linguaggio

| Scritto da Redazione
Un termometro spiega l’evoluzione del linguaggio

Fisica teorica, linguistica storica: esiste una distanza più siderale? Forse no.

Eppure su Science Advance è recentemente apparso uno studio che utilizza un modello di fisica statistica in grado descrivere le dinamiche evolutive delle lingue storico-naturali. Il team di ricerca internazionale, sotto l’eclettica guida del professore di fisica teorica Tobias Galla e dell’esperto di linguistica storica Ricardo Bermúdez-Otero, entrambi in attività all’Università di Manchester, ha sviluppato un termometro linguistico.

Si tratta di uno strumento in grado di chiarire, retrospettivamente, se una determinata proprietà linguistica è più incline a cambiare nel tempo rispetto a un’altra. Esistono quindi le caratteristiche “fredde”, come l’inserimento dell’oggetto prima del verbo, le quali permangono per lunghi periodi, immutate. Al contrario le “calde”, come l’articolo determinativo inglese the, sono molto più mutevoli, apparendo e scomparendo molto rapidamente.

Freddo e caldo nel linguaggio

“La cosa sorprendente – affermano i ricercatori in un comunicato – è che le lingue con proprietà ‘fredde’ tendono a formare grandi ammassi, mentre le lingue con proprietà “calde” tendono a essere più disperse geograficamente”. Finora, a causa dell’assenza di metodologie alternative, l’analisi dell’evoluzione linguistica si è basata unicamente sulla ricostruzione filogenetica, a partire quindi dai (scarsi) documenti storici a disposizione. D’altronde, la comparsa della scrittura è un evento decisamente recente rispetto alla comparsa del linguaggio. A modelli matematici come questo invece, l’ostacolo non si pone: basta fotografare la situazione attuale e, grazie a queste “firme geospaziali”, intervenire sperimentalmente.

Gli studiosi di Manchester credono che questo nuovo modello possa essere applicato anche al di fuori dell’ambito linguistico, spingendosi ad analizzare altri fenomeni di evoluzione culturale.

“Il nostro metodo – sostengono gli autori dello studio – potrebbe, in linea di principio, essere utilizzato per accertare se una pratica cambia nel corso della storia più velocemente di un’altra, cioè se le persone sono più innovative in un’area piuttosto che in un’altra, semplicemente osservando come è distribuita la variazione nello spazio”.

Interdisciplinarietà per capire meglio, anche il linguaggio

L’interdisciplinarità caratteristica di questo studio permette a sensibilità diverse di integrare conoscenze e competenze, così da sopperire a manchevolezze reciproche. Così un approccio rigoroso, efficace, ripetibile, controllabile, tipico dei modelli utilizzati dalle cosiddette “scienze dure” o “scienze esatte”, come la fisica, si unisce a una prospettiva teorica critica e sistemica, solitamente afferente agli studi degli scienziati umani o degli umanisti.

Il riconoscimento della rilevanza che gli approcci interdisciplinari mostrano nell’ambito dell’evoluzione linguistica è recente, ma non nuova. Fu colta, pochi decenni fa, da uno dei più grandi genetisti italiani: Luigi Luca Cavalli Sforza. Anche il suo modello analizzava la distribuzione geografica delle lingue, unendo però l’indagine sull’evoluzione culturale a quella sull’evoluzione biologica. Lo studioso infatti unì concetti e modelli tipici della genetica delle popolazioni a quelli di linguistica, di demografia e di archeologia.

Operando sulle geneaologie, riuscì a fornire una spiegazione integrata al percorso che geni, popoli e lingue (espressione che dà il titolo al suo saggio del 1996) intrapresero nel corso dell’evoluzione di Homo sapiens. Riuscì in sostanza a mostrare che esiste un rapporto diretto e molto forte tra variabilità genetica e variabilità linguistica, a partire dalle diaspore out of Africa di cui si resero protagonisti i primi umani moderni.

Questi approcci sono dunque promettenti e sempre più numerosi. Gli esperti che decidono di aderirvi sono consapevoli del grande potenziale che un lavoro di carattere interdisciplinare custodisce. “Ho contribuito a creare il modello – spiega con orgoglio il professor Galla – ponendo domande che un linguista, forse, non avrebbe posto allo stesso modo”.

(Simone Chiusoli, oggiscienza.it cc by nd)

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