A chi dobbiamo credere? Agli Stati Uniti, che hanno annunciato una guerra imminente e hanno chiesto ai loro diplomatici ed espatriati di lasciare l’Ucraina? O alla Francia, che ha ancora fiducia nella diplomazia e il cui ambasciatore a Kiev si è limitato a invitare un migliaio francesi che vivono in Ucraina a fare scorte d’acqua e riempire il serbatoio di benzina? O ancora all’ambasciatore dell’Unione europea in Ucraina, che su Twitter ha annunciato di essere ancora a Kiev e di non avere alcuna intenzione di partire?
Gli ucraini, intanto, restano sorprendentemente calmi mentre i mezzi d’informazione di tutto il mondo danno spazio alle voci di un attacco russo previsto per il 16 febbraio o subito dopo la chiusura dei giochi olimpici di Pechino, il 20 febbraio. Emmanuel Macron ha elogiato il “sangue freddo” del suo collega ucraino Volodimyr Zelenskij, in grado di rassicurare la popolazione in un momento in cui alle frontiere del paese sono ammassati 130mila soldati.
Questa dissonanza è problematica. Dal punto di vista politico non esistono divergenze nel sostegno all’Ucraina e nella condanna delle minacce russe, ma le diverse previsioni alimentano i dubbi.
Un problema di credibilità
Tuttavia chi propone un parallelo con le manovre statunitensi che hanno preceduto la guerra in Iraq è sulla strada sbagliata. Diversamente dal 2003, infatti, oggi gli Stati Uniti non vogliono la guerra e soprattutto non vogliono inviarvi i propri soldati. Il 12 febbraio Joe Biden ha dichiarato alla Nbc che un confronto tra soldati statunitensi e russi significherebbe la terza guerra mondiale.
Ma il presidente degli Stati Uniti ha un problema di credibilità agli occhi di Vladimir Putin. Il capo del Cremlino, infatti, pensa che gli americani siano divisi e incapaci di correre in aiuto dell’Ucraina, e lo stesso vale per i paesi dell’Unione europea, profondamente disprezzati da Putin.
Il mistero di questa crisi inedita è che ancora non si sa fino a che punto voglia spingersi Putin
Washington cerca di ricostruire la credibilità perduta alzando il volume dello scontro e promettendo sanzioni senza precedenti. In questo modo gli Stati Uniti riprendono in mano la fiaccola di “leader del mondo libero” che da tempo avevano rifiutato, quanto meno in Europa.
Il Regno Unito, come da tradizione, segue fedelmente la linea americana, diversamente dall’Europa continentale, altrettanto decisa a dissuadere la Russia da un attacco ma convinta che la diplomazia sia la soluzione migliore.
Dopo Macron, il 14 febbraio tocca al cancelliere tedesco Olaf Scholz prendere la strada di Mosca e Kiev nonostante la postura inflessibile mostrata finora da Putin. Se vogliamo credere alla previsione degli Stati Uniti, quello di Scholz potrebbe essere un ultimo tentativo prima dell’invasione, ma non è affatto detto che sia davvero così.
Il mistero di questa crisi inedita è che ancora non si sa fino a che punto voglia spingersi Putin e quanto in realtà stia bluffando. La logica del Cremlino non è la nostra, perché Putin non deve rendere conto a nessuno e può correre rischi che nessuna democrazia occidentale è disposta ad accettare.
Questo spiega in parte la differenza di toni tra paesi che sono comunque alleati e hanno le stesse informazioni. Queste dissonanze, però, non sono divergenze. Putin non si faccia illusioni: il suo piano per dividere i rivali occidentali non sta funzionando.