Sabato, 07 dicembre 2024 - ore 11.31

Coronavirus, dov’è la responsabilità della Cina

I ritardi e le reticenze di Pechino nel lanciare l’allarme hanno trasformato il nuovo coronavirus in una pandemia

| Scritto da Redazione
Coronavirus, dov’è la responsabilità della Cina

Le reticenze iniziali

Nei giorni concitati della diffusione ampia del contagio, dopo che la nuova epidemia da coronavirus scoppiata in Cina è ormai diventata una vera e propria pandemia, l’attenzione si concentra sulle misure emergenziali, precauzionali e sulle politiche a sostegno delle popolazioni e dell’attività economica. Accanto alla necessità di ripensare seriamente la capacità dei sistemi sanitari nazionali di mezzo mondo di far fronte a una pandemia (un evento raro, ma che rientrava comunque tra i maggiori rischi globali a cui essere preparati, secondo uno studio la Banca mondiale e l’Organizzazione mondiale della sanità), è però altrettanto importante individuare i temi rilevanti in una prospettiva più ampia delle specifiche emergenze sanitarie ed economiche nazionali.

Un tema politico particolarmente impellente riguarda la dinamica politica interna alla Cina, che ha portato a un riconoscimento tardivo, e dunque a un ritardato allarme, dell’esistenza di un nuovo virus. Non si tratta tanto di un interesse fine a sé stesso per la struttura interna del Partito comunista cinese e per le relazioni tra il comitato centrale e i suoi rappresentanti a livello locale, ma della necessità di valutarne le conseguenze sul grado di “responsabilità” della Cina nei confronti del resto del mondo. Non vi è dubbio che la cattiva gestione iniziale dell’epidemia da parte delle autorità di Pechino sia ciò che le ha permesso di diffondersi così ampiamente. Il primo caso di Covid-19 può essere fatto risalire al 17 novembre, secondo un rapporto del South China Morning Post, e sarebbero almeno 266 le persone che hanno contratto il nuovo virus nel 2019, che invece è stato segnalato per la prima volta solo il 31 dicembre. Questo spiega perché gli operatori sanitari cinesi siano stati colpiti in modo particolarmente duro: oltre 3 mila gli infettati finora. Il governo centrale ha cercato di trasformare le autorità locali nel capro espiatorio della situazione e molti funzionari sanitari nella provincia di Hubei sono stati licenziati.

Le dichiarazioni ufficiali del governo cinese all’Organizzazione mondiale della sanità riportano che il primo caso confermato è stato diagnosticato l’8 dicembre. Eppure, i medici che, alla fine di dicembre, hanno cercato di lanciare l’allarme con i colleghi su una nuova malattia sono stati minacciati. Solo il 21 gennaio le autorità hanno ammesso pubblicamente che vi sia stata una trasmissione da uomo a uomo.

L’opinione pubblica cinese si è indignata per gli sforzi inziali delle autorità di sopprimere le informazioni sul nuovo virus, compreso il fatto che può essere trasmesso da persona a persona. L’indignazione è diventata un vero proprio tumulto sui social media il 7 febbraio, all’annuncio del decesso del medico di Wuhan Li Wenliang, a cui le autorità locali avevano intimato di non divulgare informazioni, dopo il suo tentativo di mettere in guardia i colleghi sul coronavirus a dicembre. Mentre un recente rapporto della media company Caixin mostra altri focolai di contagio nello Hubei e denuncia la stretta sulla possibilità di registrare tali casi come Covid-19.

Reputazione e responsabilità

Tutti questi particolari sollevano il tema, interno al Pcc, della scelta tra la salvaguardia della propria reputazione e la responsabilità nella protezione della cittadinanza. Ma al di là del significato politico interno, in questa particolare circostanza la questione non riguarda direttamente solo i cittadini cinesi, riguarda anche il resto del mondo, dal momento che il costoso sistema di early warning del China Center for Disease Control and Prevention(Cdc) non è riuscito a prevenire che il nuovo focolaio di coronavirus uscisse dai confini nazionali in misura massiccia.

Il sistema Cdc è stato istituito sulla scia dell’epidemia di sindrome respiratoria acuta grave (Sars) scoppiata nel 2002. Solo un anno fa, a marzo 2019, il suo direttore Gao Fu aveva dichiarato ai giornalisti che un virus avrebbe potuto sì manifestarsi in qualsiasi momento, ma non avrebbe causato un’epidemia delle dimensioni di Sars, proprio grazie all’esistenza del sistema di allerta. Al contrario, in una conferenza stampa alla fine di febbraio 2020, Zhong Nanshan, uno dei massimi esperti cinesi di malattie respiratorie, ha lamentato l’indebolimento delle funzioni del Cdc negli ultimi anni e ha affermato che l’agenzia è stata ridotta a un “ufficio tecnico” con “un ruolo troppo basso” nel sistema. Secondo Zhong, “[Il Cdc] non può riferire direttamente al governo centrale e non può emettere avvisi pubblici e se ciò non cambia, nuove epidemie si verificheranno di nuovo”.

Questa pandemia induce pertanto a interrogarci sul grado di responsabilità della Cina come nuova potenza globale.

(Alessia Amighini, lavoce.info)

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