Martedì, 23 aprile 2024 - ore 23.37

La lettera dei ventenni e le regole del gioco | Alessandro Lucia

| Scritto da Redazione
La lettera dei ventenni e le regole del gioco | Alessandro Lucia

Diciannove studenti universitari con una lettera pubblicata sul Corriere della Sera di ieri a pagina 9, si sono fatti portavoce di un’intera generazione lanciando un appello a Monti, garantendogli pieno supporto nel suo operato. A parte il fatto che non capisco bene con quale diritto diciannove studenti – quasi tutti di università private tra l’altro – possano rappresentare l’intera popolazione giovanile così, da un momento all’altro, nelle righe di quell'articolo ho letto diverse cose che mi hanno fatto riflettere.

Nella lettera leggo che si dicono estranei allo "schema ottocentesco di sigle ed etichette". Un modo carino per dire: non vogliamo parlare di contenuti, o addirittura forse non ne abbiamo. Si limitano a una generica filippica contro i privilegi delle generazioni passate.  Ma poi se andiamo a vedere chi ha scritto questa lettera ci troviamo tutt'altro che ragazzi slegati da simboli e partiti. Ci sono rappresentanti di aree di centro e centro-destra, uno di loro coordinatore della Giovane Italia, un altro vicino a FLI, altri all'UDC e ancora al PDL, e anche uno vicino ai "liberal" del PD. Insomma pare, questa lettera, un manifesto di un'area politica che vuole acquistare un po' di credibilità con un lungo discorso che contiene tantissima forma, con frasi cariche di pathos, ma ben poca sostanza.

Secondo paragrafo. Il sunto è che bisogna puntare sui giovani, metterli al centro del programma e delle riforme, fare in modo che siano loro il motore della crescita.

Benissimo, come si può non condividere? Poi mi viene in mente che alla scuola e all’Università italiana sono stati tagliati miliardi e miliardi di finanziamenti dall’ultima riforma, ma di questo nella lettera non si accenna. E mi viene in mente che l’investimento per il DSU, il diritto allo studio universitario, per il 2013 sarà di 13 milioni di euro, a fronte dei 2 miliardi di Francia e Germania, per esempio.  Oppure che nelle Università pubbliche ci sarebbero migliaia di studenti idonei a ricevere una borsa di studio, ma che per “sfortuna” non la ricevono (è stato tagliato il 95% dei fondi destinati ad esse).

E la lista sarebbe ancora lunga.

Continuo, e leggo una frase tremenda: "sappiamo che il dibattito è attorcigliato attorno a temi abusati, rinunciamo dunque a parlarne per evitare l'autoreferenzialità del già detto”. Insomma si sottolinea la sostanziale vuotezza di contenuti, ben mascherata dietro ampi giri di parole, di questa lettera. Rinunciano a parlarne? E come pensano di risolverli i problemi, aspettando la grazia divina?

Ma la cosa che mi ha davvero fatto cadere le braccia è stata quella frase agghiacciante a metà papiro: "non abbiamo scritto noi le regole del gioco ma siamo tenuti a rispettarle per vincere la sfida della crescita". Cosa? Si dimenticano forse che i privilegi, le caste e tutte le diseguaglianze e iniquità che vorrebbero, tenuemente, attaccare sono frutto proprio delle "regole del gioco" che non osano toccare? Si dimenticano che il primo articolo della Costituzione sancisce il lavoro come diritto inalienabile, ma che esistono in Italia situazioni in cui le regole spietate del mercato rischiano di azzerarli, i diritti dei lavoratori? Gli operai a cui viene fatta pagare la loro appartenenza a un sindacato non è storia di due secoli fa, ma attualità, e di chi è la colpa se non della logica del profitto?

E poi scusatemi, ma che frase è “i nostri padri oggi vivono nella bambagia delle tutele grazie ad un «dispetto generazionale»”? Spero vivamente che intendano i padri di chi ha scritto la lettera e non “i padri” inteso come “le generazioni passate”,  perché sappiamo benissimo che la stragrande maggioranza degli italiani non vive proprio adagiata sugli allori. E comunque sia, a nessuno è mai stato regalato niente. Quello che si ha è stato conquistato anche a caro prezzo, dalle occupazioni delle fabbriche per orari di lavoro dignitosi, alla lotta partigiana, alle contestazioni studentesche, eccetera eccetera.

Inoltre questa lettera non aggiunge nulla di rilevante sul piano del dibattito sulla riforma del lavoro. Al contrario, si sciorinano ancora frasi di fiducia nella flessibilità, non si fa accenno ad ammortizzatori sociali, anzi sembra che addirittura i “privilegiati” di cui si parla siano quei lavoratori a cui facevo riferimento prima. Come se la tutela fosse un privilegio. Invece emerge soprattutto un “rumoroso  silenzio”, che sa tanto di ignoranza o indifferenza, sulla condizione reale dei cittadini: dalle pensioni conquistate in anni e anni di sacrifici che diventano un miraggio, ai problemi quotidiani di chi nel mondo del lavoro non riesce proprio a entrarci. Non c’è il minimo accenno ai mali che corrodono dall’interno il sistema Italia, e cioè l’evasione fiscale, la criminalità organizzata, la corruzione. Niente di niente. Solo l’auspicio di arrivare al più presto, tutti insieme, alla salvezza, sacrificando chi va sacrificato alle famose “regole del gioco”. Poi, le cose andranno come andranno e cioè come son sempre andate: tutto cambia affinché nulla cambi.

In verità, sembra fin troppo ovvio che quando si vogliono cambiare le cose è impossibile prescindere dai contenuti. Se i giovani vogliono (come spero) invertire la tendenza non possono affidarsi ad appelli come questo, che in tutto e per tutto è un atto di sostegno cieco al governo Monti. Alla prova dei fatti, sostenere “senza se e senza ma” questo governo è sostenere il modello che ci si vuole lasciare alle spalle. Altro che combattere le “forze di conservazione”. In questo modo le si aiuta e basta.

All’interno del mondo studentesco come nel mondo politico c’è da prendere una posizione: si difendono i diritti (per tutti) o si cede al mito del progresso e della crescita. Io so da che parte stare, e anche loro, mi sembra. Ma che lo dicano chiaramente, che accettino il confronto con chi scende in piazza, si attiva nelle facoltà e negli atenei, come fa chi vuole veramente cambiare le cose, e non si nascondano dietro il facile populismo degli slogan, che dà un colpo al cerchio e uno alla botte.

Di questo ne abbiamo avuto abbastanza.

 

Alessandro Lucia

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