Mercoledì, 15 gennaio 2025 - ore 19.30

La vita nomade di un mammut di 17.000 anni fa scritta nelle sue zanne

I mammut vagavano per la tundra artica proprio come fanno oggi gli elefanti nella savana

| Scritto da Redazione
La vita nomade di un mammut di 17.000 anni fa scritta nelle sue zanne

“Lifetime mobility of an Arctic woolly mammoth”, pubblicato su Science da un team di ricercatori internazionale guidato da Matthew Wooller dell’università dell’Alaska – Fairbanks (UAF), ripercorre l’incredibile viaggio durato una vita di un mammut lanoso artico e che, nei 28 anni della sua esistenza, ha camminato nel territorio che ora chiamiamo Alaska per abbastanza Km da poter quasi fare 2 volte il giro della Terra due volte.

Gli scienziati hanno raccolto dettagli senza precedenti sulla vita di questo gigantesco vagabondo grazie all’analisi di una zanna fossile di 17.000 anni custodita dall’University of Alaska Museum of the North. Studiando i dati isotopici contenuti nella zanna del mammut, i ricercatori statunitensi, canadesi, austriaci e cinesi sono stati in grado di abbinare i movimenti del pachiderma alla sua dieta e alle mappe isotopiche della regione in cui vagava. Finora si conoscevano solo pochi dettagli sulla vita e sugli spostamenti dei mammut lanosi e il nuovo studio fornisce  la prima prova che si spostavano su grandi distanze.

Wooller sottolinea che «Non è chiaro se fosse un migratore stagionale, ma copriva un territorio esteso. Durante la sua vita, in certi momenti, ha visitato molte parti dell’Alaska, il che è piuttosto sorprendente se pensi a quanto sia grande quell’area».

I ricercatori dell’Alaska Stable Isotope Facility, che è diretto da  Wooller, hanno diviso la zanna lunga più di un metro e 80 centimetri nel senso della lunghezza e, utilizzando un laser e altre tecniche, hanno prodotto circa 400.000 data points microscopici. Gli scienziati dell’UAF spiegano che le analisi isotopiche dettagliate che hanno effettuato «Sono ste possibili grazie al modo in cui crescevano le zanne di mammut. I mammut aggiungevano costantemente nuovi strati ogni giorno, per tutta la vita. Quando la zanna è stata divisa longitudinalmente per il campionamento, queste bande di crescita sembravano coni gelato impilati, fornendo una registrazione cronologica dell’intera vita di un mammut».

Un altro autore dello studio, il paleontologo Patrick Druckenmiller, direttore dell’University of Alaska Museum of the North, ha evidenziato che i mammut, «Dal momento in cui sono nati fino al giorno in cui sono morti , hanno un diario, ed è scritto nelle loro zanne. Di solito Madre Natura non offre registrazioni così convenienti e durature della vita di un individuo».

Gli scienziati sapevano che il mammut era morto nell’Alaska’s North Slope, sopra il circolo polare artico, dove i suoi resti sono stati dissepolti da un team che includeva altri due autori dello studio: Daniel Mann e Pamela Groves, che allora erano all’UAF e che ora lavorano per la Montanuniversität Leoben austriaca. Il team di ricercatori ha ricostruito il lungo viaggio del mammut dalla nascita fino alla sua morte analizzando le firme isotopiche impresse nella sua zanna dallo stronzio e dall’ossigeno, che sono stati abbinati a mappe che prevedono le variazioni isotopiche in tutta l’Alaska. All’UAF spiegano ancora che «I ricercatori hanno creato le mappe analizzando i denti di centinaia di piccoli roditori provenienti da tutta l’Alaska conservati nelle collezioni del museo. Gli animali percorrono distanze relativamente piccole durante la loro vita e presentano segnali isotopici locali».

Utilizzando questi dataset locali, gli scienziati hanno mappato la variazione degli isotopi in tutta l’Alaska, fornendo così una linea di base per tracciare i movimenti dei mammut. Dopo aver preso in considerazione le barriere geografiche e la distanza media percorsa ogni settimana, i ricercatori hanno utilizzato un nuovo approccio di modellazione spaziale per tracciare i probabili percorsi che l’animale ha seguito durante la sua vita.

Beth Shapiro, la biologa dell’università della California – Santa Cruz che ha guidato il gruppo che ha studiato la componente del DNA dello studio, evidenzia che «L’antico DNA conservato nei resti del mammut ha permesso al team di identificarlo come un maschio imparentato con l’ultimo gruppo della sua specie che viveva nell’Alaska continentale. Questi dettagli hanno fornito maggiori informazioni sulla vita e sul comportamento dell’animale. Ad esempio, un brusco cambiamento nella sua firma isotopica, nell’ecologia e negli spostamenti a circa 15 anni  ha probabilmente ha coinciso con il fatto che il mammut era stato cacciato via dal suo branco, rispecchiando uno schema visto in alcuni elefanti maschi dei giorni nostri. Sapere che era un maschio ha fornito un contesto biologico migliore con il quale potevamo interpretare i dati isotopici».

Gli isotopi hanno anche fornito un indizio su cosa possa aver  portato alla morte prematura il mammut: gli isotopi di azoto sono aumentati durante l’ultimo inverno della sua vita, un indizio che nei mammiferi può essere un segno distintivo della fame.

Il co-autore principale dello studio, Clement Bataille dell’università di Ottawa, che ha guidato il lavoro di modellazione in collaborazione con Amy Willis dell’università di Washington – Seattle, ha detto che «E’ semplicemente incredibile quello che siamo stati in grado di vedere e fare con questi dati.

Wooller conclude: «Scoprire di più sulla vita delle specie estinte soddisfa  molto di più della curiosità. Oggi, questi dettagli potrebbero essere sorprendentemente rilevanti, perché molte specie stanno adattando i loro schemi di spostamento e i loro areali alò clima mutevole. Nell’Artico, ora stiamo assistendo a molti cambiamenti e possiamo usare il passato per vedere come potrebbe essere il futuro per le specie odierne. Cercare di risolvere questa detective story è un esempio di come il nostro pianeta e i nostri ecosistemi reagiscono di fronte al cambiamento ambientale».

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