Giovedì, 28 marzo 2024 - ore 17.02

Per una nuova identità: dal Risorgimento agli Stati Uniti d'Europa | Alessandro Lucia

| Scritto da Redazione
Per una nuova identità: dal Risorgimento agli Stati Uniti d'Europa | Alessandro Lucia

Per affrontare un tema spinoso come quello dell’”identità nazionale”, occorre innanzitutto partire dalle origini, e quindi dal Risorgimento.

Bisogna innanzitutto ricordare che l’unificazione di quasi tutta la penisola italiana in un’unica nazione è stata sostanzialmente frutto di una minima parte dell’effettiva popolazione “italiana”. Sull’onda delle nuove spinte culturali di stampo romantico, l’idea di stato negli uomini dell’800 cambia radicalmente; la Restaurazione giocò un ruolo fondamentale in questo processo ideologico: con il ripristino delle dinastie la cui origine è giustificata su base divina e con il rifiuto della Carta dei Diritti dell’uomo promulgata durante la Rivoluzione francese, l’idea di nazione ora non si basa più su una solidarietà naturale tra uomini accomunati dalla ragione e dai diritti, ma su una serie di particolarità che possiamo circoscrivere con il termine “tradizione comune”.

I cittadini di uno stato possono stare insieme solo se condividono la stessa cultura, lingua, religione, etnia. Un’idea barbara, se confrontata con il recente passato illuminista e giacobino: l’uomo è cittadino del mondo (Kant e Voltaire insegnano) e tutti gli uomini sono accomunati dalla ragione e dai diritti.    Ma questi ideali nobili vennero “macchiati” dal sangue del periodo del Terrore post-rivoluzionario (1793-94) e quindi, per uno strano fenomeno che avviene nella storia, totalmente respinti dalla cultura successiva.

Dicevo che la Restaurazione ha giocato un ruolo fondamentale in questo passaggio. Nello specifico, in Italia si sentiva la necessità di unificare un popolo che, pur avendo prodotto uomini di cultura e fama immense, è sempre stato frastagliato e dilaniato da lotte intestine fra più o meno piccoli staterelli regionali,  o comunque dominato quasi incessantemente da stranieri nel corso della sua storia. Ma perché si possa unificare una nazione, c’è bisogno di presupposti forti e accettati da tutti, e questo ancora mancava, nonostante nel corso dei secoli uomini importanti come Dante e Machiavelli abbiano sostenuto fortemente un’unificazione della penisola (anche se per ragioni diverse)

Comunque i meriti della Rivoluzione Francese nella creazione dell’Italia non sono da sottovalutare: l’idea di nazione come la intendiamo oggi, nasce nel triennio giacobino-napoleonico (1796-1799) e, esportata da Napoleone Bonaparte, attraverso le sue campagne, anche in Italia, si sviluppa nei 60 anni successivi attecchendo e diffondendosi esclusivamente negli strati borghesi della popolazione. E’ importante sottolineare come questi strati siano formati da una piccolissima parte della popolazione e prevalentemente del nord Italia, poiché nelle zone meridionali del paese non esisteva alcun tipo di borghesia imprenditoriale a cui potessero rivolgersi certe idee politiche e culturali. Insomma queste idee, rielaborate nei salotti borghesi durante la prima metà del XIX secolo, portano alla formazione dello stato Piemontese che, pur essendo una monarchia, è parzialmente influenzata da ideali liberali, progressisti, diretti discendenti dei nobili ideali che animarono i rivoluzionari nel 1789, e che si possono ritrovare, almeno in parte, nello statuto Albertino del ’48.

D’altra parte, questi ideali liberali, repubblicani e quasi democratici erano anche confluiti nelle correnti carbonaie e massoniche (di cui Mazzini è personaggio di spicco) e che in seguito daranno vita, fra le altre, alla spedizione dei Mille.

Ma non solo su questi ideali progressisti è fondata la nazione italiana, perché accanto ad essi si sviluppò un culto delle origini, una rivalutazione della religione Cattolica (questo in opposizione al periodo storico direttamente precedente, che faceva della laicità, quando non dell’anticlericalismo la sua bandiera) come unificatrice di tutte le fasce della popolazione, dei martiri per la libertà e della lotta contro lo straniero (come il Balilla, eroe bambino simbolo della lotta al dominio Austriaco). L’Italia vista come terra dei padri e per questo destinata a essere libera da dominazioni estere, e come patria degli eroi: una rivisitazione quasi mitologica della storia Italiana che contribuì a formare in tutto il popolo di una nuova identità: non più suddito di Spagnoli, Austriaci o Francesi, ma finalmente Italiano in Italia.

Che poi la realtà dei fatti non coincidesse esattamente con le parole altisonanti dei poeti, musicisti e letterati nazionalisti, è cosa evidente: mancavano i presupposti sociali, soprattutto nel Sud Italia, perché ci fosse una vera e propria omogeneità nella popolazione. Vi erano troppe disparità economico-sociali fra Piemonte e Calabria. L’unificazione si è trovata purtroppo ridotta ad una semplice “Piemontizzazione” del Sud da parte della borghesia illuminata del Nord.

Comunque l’Italia fu fatta, si cercò di fare gli italiani, ci si riuscì a stento, ma comunque i valori che l’800 portò con sé sono durati per un tempo relativamente lungo se consideriamo che abbiamo attraversato due guerre mondiali. Ma proprio nel secondo dopoguerra qualcosa iniziò a sgretolarsi: la necessità di organi extranazionali che si ponessero ad un livello più alto dei singoli stati, in modo da garantire un periodo di pace all’Europa (che in effetti ci fu) portò nella neonata Repubblica Italiana cambiamenti importanti.

Il centralismo della nazione, a fronte della nascita prima della CEE e poi dell’UE, si affievolì, a favore di una concezione più europeista e che tendeva a un primo effettivo tentativo di cosmopolitismo.

Iniziarono a venir sempre più messi da parte quegli ideali di tradizione, patria, eroismo che avevano caratterizzato il Risorgimento, ma che erano tragicamente confluiti anche e soprattutto nel ventennio fascista. La Repubblica era nata infatti con l’intenzione di lasciarsi indietro le istanze proprie del fascismo (patria, eroe, tradizione, stato ecc) e prima di esso, del Risorgimento.

Inoltre, dopo la caduta del Muro di Berlino, nacquero spinte secessioniste che trovarono una forte approvazione nel territorio, al Nord, che rivendicando l’esistenza di fantasiosi stati come la “Padania” diedero, e continuano a dare, forti colpi a quello che dovrebbe essere il sentimento di “italianità”. Ma questo, più recentemente, è accaduto anche al sud dove movimenti autonomisti vorrebbero maggiore autonomia economica, noncuranti delle conseguenze a cui potrebbe portare una scelta così scellerata: la presenza della criminalità organizzata è molto forte (spesso più forte di quella dello stato), e ad essa farebbe solo comodo un decentramento della gestione economica alle regioni: è molto più facile infiltrarsi nei comuni che nel Parlamento.

Ma per tornare al discorso principale, è chiaro che i due tipi di spinta “antinazionalistica” (europeismo e pseudo-secessionismo) che ho presentato vanno affrontati  in maniera diversa.

Le spinte autonomiste hanno forte impatto sui ceti bassi della popolazione, perché esse fanno leva su un sentimento di scontento verso lo stato centrale, il quale è visto come un nemico: toglie alla parte produttiva della popolazione, per dare a quella più in difficoltà (che non se lo merita). Sono convinto che questo può davvero essere pericoloso, perché può portare (e già porta) i cittadini a un disinteresse nei confronti della vita pubblica, e conseguentemente alla atomizzazione della società interna. Senza dimenticare l’odio verso il diverso, meridionale o extracomunitario che sia, come siamo tristemente abituati a vedere.

Tutt'altro discorso vale per la nascita delle organizzazioni sovranazionali ed europee: i valori su cui si deve fondare l’identità nazionale non sono più quelli ottocenteschi, ma quelli che sono perfettamente riassunti nella nostra Costituzione, nella Dichiarazione Universali dei Diritti dell’Uomo, ovvero l’uguaglianza, la fratellanza e la giustizia. E non è affatto un caso che siano gli stessi valori che ci tramanda la Rivoluzione Francese: infatti l’idea stessa di Nazione come ho precedentemente scritto riprende alcuni valori di chiaro stampo Illuminista-settecentesco e alcuni di stampo Romantico-ottocentesco, ma mentre questi ultimi nel corso del tempo sono scomparsi (per le ragioni precedentemente esposte), ci sono stati tramandati solo quelli Illuministi ed è su questi che dobbiamo fondare la nostra (nuova) identità nazionale ed europea. Certo siamo lontani dalla meta, e la crisi corrente non aiuta, ma già Maastricht vent’anni fa, poi Lisbona e in questi giorni la nuova unione fiscale, sono tappe importanti.

Credo ci sia bisogno di più Europa, ma questa Europa deve avere una legittimazione politica, un governo centrale (eletto dai cittadini europei), una singola costituzione, una singola politica estera, un singolo erario; tutto ciò affiancato dai diversi governi federali in modo da poter contribuire più democraticamente al progresso (economico, culturale, sociale) dell’intera Unione. Progresso che deve essere regolamentato da quelle fondamentali Carte dei diritti, di cui la nostra Europa può ben farsi vanto. Insomma un identità (inter)nazionale e non nazionalistica, fondata sui diritti (per tutti), e su quel caro vecchio ideale di cosmopolitismo che andrebbe ripreso seriamente, una volta per tutte.

Alessandro Lucia

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