Martedì, 19 marzo 2024 - ore 09.47

Caso Cerciello, il senso di Salvini per lo Stato

L’uso spregiudicato dei social da parte della classe politica, compiuto spesso cavalcando tragedie, condiziona pesantemente il dibattito politico e contribuisce ad aumentare il gap fra percezione e realtà. Ma quando un ministro arriva ad avallare comportamenti sovversivi allora ci si chiede se non sia stato abbondantemente passato il limite.

| Scritto da Redazione
Caso Cerciello, il senso di Salvini per lo Stato Caso Cerciello, il senso di Salvini per lo Stato

Un giovane uomo è stato assassinato in modo brutale. Era un carabiniere, un servitore dello Stato, una persona altruista, sposato da un mese e mezzo.

È stato assassinato in servizio in circostanze piuttosto oscure, sembra che non siano state seguite le procedure, che siano stati commessi errori, che l’arma utilizzata per compiere il delitto sia stata portata dagli USA.

Si chiamava Mario Cerciello Rega, lo hanno ammazzato con undici coltellate. Non è però stato ammazzato solo materialmente: è stato virtualmente ucciso più volte.

È stato ucciso una seconda volta quando la notizia del delitto è stata usata utilizzata per montare l'ennesima campagna social contro i migranti, i clandestini, senza avere nemmeno informazioni corrette sui fatti, basandosi solo sulle prime indicazioni di un balordo. E questa campagna mediatica ha visto protagonisti di tutti gli schieramenti politici, ma con i ruoli chiave svolti dai politici di destra, in primis dal ministro dell'interno e dal suo staff.

Questo carabiniere è stato ucciso una terza volta quando sul profilo di una donna, un’insegnante, è comparso un post nel quale si diceva "uno in meno" (e per questa frase la donna rischia di avere conseguenze pesanti).

È stato ucciso una quarta volta quando qualche carabiniere indegno di portare la divisa ha pensato bene di bendare, in caserma, uno dei due fermati per l'omicidio, con delle modalità che fanno più pensare ad una forma di vendetta che alla ricerca di verità e giustizia; è stato ucciso quando qualcuno ha scattato una foto del fermato facendola circolare in una chat senza premurarsi di denunciare l’accaduto.

E’ stato ucciso una quinta volta quanto un ministro della Repubblica, a fronte delle polemiche scoppiate sul caso della foto rubata in caserma, non ha condannato l’accaduto, anzi, lo ha sostanzialmente avallato spostando la questione sul piano della contrapposizione fra criminale e vittima, sdoganando la sete di vendetta (virtuale o reale) e dimenticandosi bellamente che uno dei cardini di una società che si definisce civile è il rispetto per la dignità di tutti (anche per chi è in stato di fermo, come recita il C.P.P. all’art. 114), il diritto ad un giusto processo e che, in Italia, si è innocenti fino a condanna definitiva.

Fra tutti i fatti sopra citati, personalmente credo che l’ultimo sia il più grave, insieme al bendaggio dell’indagato, perché ci si aspetta che chi giura sulla Costituzione e si mette al servizio dello Stato, militare o politico che sia, deve rispettare rigorosamente la Costituzione e la Legge italiana, ispirare la sua azione ai principi fondamentali che regolano la vita dei cittadini e il godimento dei diritti, che devono essere gli stessi per tutti.

Chi deve battersi perché venga rispettata la legge, o fornire le linee di indirizzo per il funzionamento dello Stato, non può mettersi sullo stesso piano di chi le regole comuni le infrange. La responsabilità è ancora maggiore quando si occupano i media, tradizionali e no, h24 e 7/7. Si deve essere ineccepibili perché si rappresenta uno dei poteri dello Stato, invece quello che si osserva è che, soprattutto da parte del Ministro dell’Interno, c’è un utilizzo dei mezzi di comunicazione spregiudicato e governato più dal ritorno in termini di like, di voti possibili per la persona che pro tempore occupa una carica (e per il suo partito, ovviamente) che non dai compiti e dalle responsabilità legati al ruolo ricoperto.

E, in tal senso, una lezione magistrale arriva da un uomo che sa cosa vuol dire far parte delle istituzioni, avere un ruolo ben definito che comporta precisi doveri. Questo uomo è il senatore Pietro Grasso, che ha dichiarato quanto segue.

Quando arrestammo Bernardo Provenzano, o quando interrogai Giovanni Brusca, mi trovai davanti uomini che avevano commesso le stragi, fatto uccidere colleghi e amici, progettato il mio omicidio e il rapimento di mio figlio. Potete immaginare il mio stato d’animo. Ho sempre avuto chiaro però quale fosse il mio ruolo: quello di rappresentante dello Stato. A Provenzano, catturato dopo 43 anni di latitanza, la prima cosa che chiesi fu: “ha bisogno di qualcosa?”; rispose che aveva bisogno di un’iniezione per curare la sua malattia, e rapidamente trovammo il modo di fargliela. Gli dimostrammo la differenza tra noi e loro: non ci si abbassa mai al livello dei criminali che si combattono, non ci sono e non devono esserci eccezioni. Questo significa essere uomini e donne al servizio dello Stato.

Spero che le indagini possano procedere spedite e senza buchi, alla ricerca della giustizia, non della vendetta, e senza che la spregevole vicenda della foto “rubata” in caserma contribuisca a creare un altro “Caso Cermis” (e c’è chi insinua che la foto sia stata messa in giro ad arte). Spero che sia ripristinato il principio di uguaglianza davanti alla legge, e che non prevalga il fatto che stavolta abbiamo effettivamente davanti due extracomunitari, ma bianchi, benestanti e, soprattutto, cittadini USA e non proventi da qualche paese dell’Africa. Ma vedere che sono stati mandati ai posti di potere politici che sono impegnati più a promuovere il “personaggio” che a fare il proprio lavoro, e che non paiono curarsi dei problemi veri se questi possono contribuire ad amplificare una narrazione ad uso e consumo dei fans, fa male, molto male. E viene da chiedersi se chi acclama certe nefandezze sia stato influenzato da chi sta al potere o se ora si senta solo legittimato ad esternare pensieri che, in fondo, aveva già in testa. O forse entrambe le cose, perché sono due elementi che si autoalimentano.

E ci si chiede anche dove era chi doveva essere argine a tutto ciò.

- Barbara Gamba -

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