Martedì, 23 aprile 2024 - ore 14.30

Pianeta migranti. Storie. La giungla di Calais

Nel nord della Francia, sul canale della Manica, è nata in pochi mesi una città di ottomila abitanti detta la “Jungle” di Calais. Ci sono curdi, afghani, sudanesi, eritrei, kosovari, pachistani: la maggior parte di loro vogliono raggiungere Londra. Grande la solidarietà della gente, assenti, o quasi, le istituzioni.

| Scritto da Redazione
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La Jungle si sviluppa su un terreno paludoso vicino al mare. All’inizio ospitava duemila migranti provenienti da Paesi d’Europa, Asia e Africa fuggiti dai conflitti o da un sistema economico asfissiante e ingiusto. In pochi mesi, è diventata il terzo agglomerato più popolato del comune di Calais e a fine ottobre contava ottomila persone. Il sindaco di Calais ha voluto concentrare i migranti un unico terreno abbastanza lontano dal centro abitato e turistico, in una un’area protetta, d’interesse ecologico,  però considerata a rischio per la presenza di due industrie altamente tossiche e pericolose quali la Interor e la Synthexim.

Da aprile, i migranti, che prima erano sparsi per la città, non hanno più il diritto di accamparsi altrove. Lì non danno più fastidio: adesso la città è più pulita e non sembra più la stessa. Oramai è quasi impossibile imbattersi in un migrante, e sono state cancellate tutte le tracce del loro passaggio. Tuttavia, gli operatori turistici continuano a lamentarsi perché la presenza dei migranti avrebbe fatto perdere molti clienti.

Nella Jungle gli abitanti si sono raggruppati per paese di provenienza o per etnia. Il “quartiere” iracheno è abitato prevalentemente da curdi: famiglie intere composte da nonni, genitori e bimbi di pochi anni. I più fortunati, -coloro che hanno ancora un po’ di soldi e quanti si sono stabiliti da più di un mese- vivono in baracche fatte di legno, plastica e stoffa. Tutti gli altri si devono accontentare di una tenda adatta a campeggiatori e scout, più che alla permanenza di lunga durata di intere famiglie. La Jungle è attraversata da due strade principali nord-sud e ovest-est. Attorno a queste vie gli afghani hanno aperto tanti ristoranti e qualche negozio: strutture improvvisate in lamiera, cartone e assi di legno, con una cucina all’interno in grado però di offrire un pasto a tre euro a persona. In strada, presso varie bancarelle è possibile comprare beni alimentari e di elettronica a prezzi non molto differenti da quelli disponibili in città. Nella Jungle ci sono perfino chiese e moschee sobrie ma assai frequentate ed esiste anche un teatro e qualche biblioteca.

Da aprile, ogni giorno, centinaia di volontari provenienti da Inghilterra, Francia ed altri Paesi si mettono a completa disposizione per provare a migliorare le condizioni di vita dei residenti. Insieme alle grandi associazioni e Ong, (da Medici Senza Frontiere alla Caritas) c’è una vera e propria gara di solidarietà tra famiglie che portano vestiti, cibo, materiale da costruzione, professori che vengono ad insegnare il francese, addirittura bimbi che vengono a condividere i loro giocattoli. Ad ogni ora del giorno e della notte arrivano furgoni carichi di cibo e vestiti. Spesso vengono distribuiti senza alcuna logica, con lunghe code che causano momenti di tensione e talvolta di violenza.

E lo Stato che fa? Manca una gestione dei rifiuti, che spesso vengono bruciati causando nubi nere di diossina. Manca una gestione centrale di tutti gli aiuti che la società civile vorrebbe portare a questi ottomila accampati. Il ministro dell’interno francese, Cazeneuve, ha annunciato che sarà incrementata la presenza delle forze dell’ordine al campo, che verranno distribuite delle “tende riscaldate” e aumenteranno i posti letto per donne e bambini. Ma il grosso dell’impegno francese è nel presidiare l’Eurotunnel per l’Inghilterra, paese che i migranti sognano di raggiungere.

Fonti: da pagina della comunità fb “Jungle Life, Calais”; da: People to people solidarity “Active from Uk” fb

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